La flora e la fauna

La distribuzione e l'evoluzione della flora e della fauna sono indubbiamente influenzate dalle condizioni climatiche. In particolar modo questo è vero per le specie vegetali, che sono condizionate principalmente dalle temperature e dalle precipitazioni, ma anche alcuni comportamenti animali, come i fenomeni migratori ed il letargo, sono da ricollegarsi agli stessi parametri climatici.

Certo gli animali possono sfuggire ad un ambiente diventato troppo sfavorevole grazie alla loro mobilità, ma come possono le piante vivere laddove le condizioni appaiano estremamente sfavorevoli, ad esempio in alta montagna, dove il manto nevoso rimane al suolo per molto tempo e il vento soffia ad alte velocità?

Spesso le strategie di sopravvivenza dei vegetali nei confronti degli agenti climatici si traducono in adattamenti morfologici che ne permettono lo sviluppo anche in condizioni non troppo favorevoli: tornando al nostro esempio, in alta montagna alcune piante assumono spesso portamenti prostrati o striscianti per evitare di essere danneggiate dai venti e riducono il periodo vegetativo a brevi periodi durante la stagione più calda. Così facendo riescono a sfruttare degli spazi vitali dove il rischio di concorrenza da parte di altre specie è molto ridotto, proprio per le condizioni climatiche avverse.

Ogni specie vegetale infatti si è adattata ad un certo habitat, determinato sia da fattori climatici che pedologici. Anzi, il legame tra la vegetazione ed il clima è così stretto da permettere una classificazione del territorio da un punto di vista climatico basandosi sul tipo di formazioni vegetali presenti.


La genesi degli ecosistemi

Nel pleistocene superiore (120.000-10.000 anni da oggi) i quadri faunistici della penisola italiana si erano ormai definiti, pur comprendendo, oltre a tutte le specie attuali, anche altre per le quali nel frattempo si è verificata l’estinzione.(Masseti, 2002).
Una delle cause principali che hanno portato all’estinzione di molte specie prima presenti è rappresentata soprattutto dagli incisivi cambiamenti climatici, che non hanno permesso l’adattamento di molte di esse.
Le variazioni climatiche connesse alle alternanze di periodi glaciali e periodi interglaciali, verificatesi nel Pleistocene, hanno avuto forti influenze sulla flora e sulla fauna; queste variazioni hanno prodotto, infatti, un continuo slittamento dei biomi da Nord verso Sud e viceversa. Molti animali, in conseguenza di tale alternanza, si sono estinti mentre altri si sono spostati per raggiungere luoghi più adatti al loro sviluppo. Tra gli esempi più rappresentativi si può citare la presenza delle renne e l’estensione della tundra fino alle rive del Mediterraneo, nei periodi glaciali più freddi e, viceversa, la presenza del daino e la formazione della macchia mediterranea in Danimarca, nei periodi interglaciali più caldi.

Inoltre, lo scioglimento o la formazione dei ghiacciai, durante ogni fase climatica, liberava o imprigionava una grande quantità di acqua provocando rispettivamente un innalzamento oppure un abbassamento del livello marino. Tale alternanza di trasgressioni e di regressioni marine cambiava ogni volta la paleogeografia del Mediterraneo, facendo variare la linea di costa e, quindi, l’estensione delle masse continentali ed insulari. Per questo stesso motivo, durante i periodi glaciali, la macchia mediterranea costiera della Penisola poteva risultare collegata con quella delle isole, mentre, durante gli interglaciali, queste ultime erano più piccole e lontane dal continente. Molti animali poterono colonizzare le isole ed espandersi lungo la macchia costiera italiana durante le regressioni marine approfittando dei ponti di terraferma che emergevano in corrispondenza di fondali più bassi (G. Carpaneto, 2002).
Testimonianze relative alla fauna del Quaternario sono state recuperate nelle grotte e nei depositi continentali lacustri. Da questi ultimi, assai diffusi in Toscana, sono stati recuperati resti di numerosi mammiferi (proboscidati, cervi, rinoceronti, carnivori, ecc.), che hanno consentito di definire una stratigrafia locale assai importante nelle ricostruzioni degli antichi ambienti.

I grandi carnivori della fauna paleartica popolavano le foreste della parte settentrionale della regione ancora nel XVIII secolo. A testimonianza di ciò si può citare l’affresco di Bernardino Poccetti presente nella Grotta Grande nel Giardino di Boboli a Firenze, risalente al 1758, raffigurante in effetti, un Orso bruno (Ursus arctos). Il ritiro di gran parte dei ghiacciai, causato dalla variazione del clima, provocò la scomparsa di questa specie da molte zone.


Vegetazione in Toscana

La Regione Toscana, oggi come ieri, appare ricca di foreste. Che lo fosse un tempo appare evidente facendo riferimento alle opere del passato: lo stesso Dante Alighieri definisce il luogo in cui ha inizio il suo viaggio ultramondano “selva selvaggia e aspra e forte / che nel pensier rinnova la paura” riferendosi alle foreste che all’epoca ricoprivano le vaste aree collinari e montane interne o del litorale toscano.
E la conoscenza di quali specie fossero presenti è ricavabile tramite i vecchi diari di viaggio, i dipinti, gli erbari, gli oggetti in legno realizzati dagli artigiani del passato. Ma quanti sono i boschi oggi esistenti e da che specie sono formati? Lo strumento che permette di conoscere l’estensione e la composizione della vegetazione attuale è l’ Inventario Forestale: quello Toscano riporta una superficie boschiva di oltre un milione di ettari (1.086.016 ha), pari al 47% dell’estensione territoriale della Regione, includendo anche formazioni non prettamente forestali come i cespuglieti, la macchia mediterranea e altre categorie.




Flora delle aree collinari

Salendo di quota si incontra una tipologia di vegetazione che contraddistingue invece le zone più interne, collinari, ma sempre caratterizzate da un clima temperato. Le specie più comuni sono rappresentate dalle querce decidue e le due specie prevalenti sono Cerro (Quercus cerris) e Roverella (Quercus pubescens) consociate ad aceri e carpini.

Le colline sono, per la maggior parte, caratterizzate da estesi appezzamenti di vigneti, terrazzati e non, e oliveti. Ove possibile l’uomo ha cercato di impiantare queste colture per il loro pregio economico. La vocazione vitivinicola delle colline Toscane ha fatto sì che nascessero dei veri e propri itinerari, "Le strade del vino", lungo le quali si trovano cantine di aziende agricole, agriturismi e attrattive paesaggistiche, culturali e storiche, altamente organizzati per il turismo.
La vegetazione collinare, oltre che offrire un bellissimo paesaggio ricco di colture agrarie, è rappresentata, come già accennato, da boschi di querce caducifoglie, formazioni che maggiormente incidono sul paesaggio collinare toscano, in particolare nelle province di Grosseto, Siena, Arezzo e Firenze. Tali querceti, quasi esclusivamente cedui1, sono nettamente dominati dal Cerro e dalla Roverella, ma presentano in mescolanza anche altre specie tipiche di queste altitudini tra cui l’Orniello, Carpino nero e bianco, l’Acero campestre, il Pino marittimo, il Corbezzolo, ecc.
Cerro e Roverella partecipano al paesaggio toscano anche con boschetti che rivelano l’uso delle querce caducifoglie anche come piante dei campi dove vengono disposte a gruppi, a filari o a singole piante.

Altra tipica specie molto presente e quasi divenuta un simbolo per la Toscana è il cipresso, presente dal litorale tirrenico alle zone collinari interne. Il cipresso nell’immaginario popolare è un albero legato ai cimiteri; per tale motivo è stato da sempre considerato sacro ma allo steso tempo lugubre. In Toscana questo significato è stato perso ed il cipresso è diventato un elemento distintivo del paesaggio per gli indubbi effetti ornamentali nella decorazione di viali, colline e ville private.


Fauna delle aree collinari

La fauna selvatica presente nei boschi annovera specie come il cinghiale, che lascia un po’ ovunque il segno della sua presenza rappresentato in maggior parte dagli insogli e dai segni sui tronchi degli alberi ai quali amano grattarsi. Numerosi anche caprioli, volpi, tassi ed istrici. La fauna ha inoltre da sempre rivestito un’importanza rilevante per l’alimentazione. La cacciagione comprendeva infatti starne, lepri, fagiani, cervi, cinghiale e caprioli, ed ancora, tordi, merli, passerotti, beccafichi, fringuelli ed allodole.

Il ghiro è stato cacciato per scopi alimentari, infatti uno dei nomi inglesi di questa specie è "Edible dormous", letteralmente "dormiglione commestibile".
Gli uccelletti allo spiedo, intercalati con pane, salvia, alloro e lardo di maiale, divennero un piatto assai frequente anche sulle tavole dei borghesi ed entrarono a pieno titolo nel quadro della cultura gastronomica italiana grazie anche all’opera di Pellegrino Artusi (“Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” pubblicata per la prima volta nel 1891 e tutt’oggi ristampata).
Presenti anche rapaci diurni come Poiana e Biancone, oltre che numerosi passeriformi che si odono nel bosco come capinera, sterpazzola, pettirosso, cinciarella e picchio verde.




Flora e fauna della fascia appenninica e apuana

Le regioni appenniniche, localizzate lungo la dorsale che cinge la Toscana da sud-est a nord-ovest e protetta dai venti freddi invernali provenienti dal continente asiatico e dal nord Europa, costituiscono la parte montana della Regione Toscana, caratterizzata da vette e valli che assumono una propria conformazione in funzione dei litotipi presenti e dei fiumi che regolano il deflusso delle acque lungo il territorio.

I rilievi, con vette che spesso raggiungono i 1000 metri, divengono mano a mano più acclivi e duri nei profili muovendosi verso le Alpi Apuane per effetto del substrato roccioso che diviene in prevalenza calcareo-marnoso e quindi dotato di una maggiore resistenza all’azione erosiva degli agenti atmosferici.

L’Appennino è caratterizzato da un’elevata varietà di paesaggi, sia per quanto attiene la morfologia, piuttosto variabile, che per quanto riguarda il tipo di assetto colturale. Il paesaggio ha subito, negli anni, molte modificazioni da parte dell’uomo, in seguito a coltivazioni produttive. Le tracce dei passati utilizzi sono visibili e rappresentati da frequenti arbusteti che ricolonizzano le superfici abbandonate dall’agricoltura e dalla pastorizia.


Nonostante questo conserva comprensori forestali di notevole valore naturalistico e boschi con elevato grado di naturalità, basti ricordare la foresta di Vallombrosa, la Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino e la Foresta di Campolino nel Comune di Abetone, nella quale Abete rosso (Picea abies) e Abete bianco (Abies alba) (entrambi di sicuro indigenato) formano con il Faggio (Fagus sylvatica) un bosco misto dalla struttura quasi prossima a quella di una foresta primaria.

Oltre alle abetine sono state introdotte anche altre specie frugali di resinose quali il Pino laricio (Pinus nigra subsp. Laricio) e il Pino nero austriaco (Pinus nigra subsp. nigra), impiantate sui terreni più poveri al posto delle latifoglie preesistenti. Le fasce altitudinali che si succedono sono due:
  • Castanetum (da 450 m s. l. m. a 900 m s. l. m.) e
  • Fagetum (da 900 m s. l. m. a 1450 m s. l. m.).
Castanetum: dal nome della pianta che vi trova l’optimum ambientale per svilupparsi e riprodursi, il Castagno (Castanea sativa) . Fascia altitudinale caratterizzata da scarsa siccità estiva e temperature più favorevoli alla produzione di legname. Oltre al Castagno, nelle esposizioni più soleggiate, si ritrovano cedui misti di latifoglie caratterizzati da una notevole mescolanza di specie.

Le zone che si trovano all’interno di questa fascia altitudinale sono caratterizzate da abbondanti piogge, assenza di siccità estiva ed elevata umidità atmosferica; il fattore limitante è rappresentato dalle basse temperature rappresentando così un limite alla crescita di alcune specie. In questa zona, pertanto, vegetano specie mesofile e igrofile come appunto il Faggio, alcune querce e l’Abete bianco. Quest’ultimo vive anche in piccoli gruppi spontanei in alcuni luoghi, come al Passo del Cerreto e in Val d’Ozola (versante emiliano), a testimoniare la maggiore espansione che questa conifera ebbe nel passato, quando il clima le era più favorevole e l’uomo non era ancora intervenuto con lo sfruttamento del suo ricercato legname. Le faggete delle zone più prossime ai crinali hanno una funzione prevalentemente protettiva date le sue caratteristiche di maggiore stabilità, rispetto ad altre specie, soprattutto nei confronti dei venti, che spirano con particolare frequenza e intensità. Tali boschi, governati a ceduo, accusano per lo più sofferenze acute dovute ad eventi climatici occasionali come le gelate fuori stagione o come le annate molto siccitose, o ancora, il fenomeno della galaverna , particolarmente insidioso per il verificarsi. In generale, le zone in cui la galaverna si verifica con maggiore frequenza sono le zone appenniniche ed alpine, in cui le nubi basse fungono da serbatoio di umidità, in cui molto spesso si possono trovare giornate nebbiose con temperatura inferiore allo zero. Un’evoluzione del clima, con una ulteriore riduzione dell’innevamento, potrebbe portare a fenomeni di ritiro della specie.
Al di sotto dei 1.300 m, si trovano specie tipiche quali l’Acero montano (Acer pseudoplatanus), l’Acero riccio (Acer platanoides), il Tiglio (Tilia platyphyllos), l’Olmo montano (Ulmus glabra) ed il Frassino maggiore (Fraxinus excelsior).

Alle quote inferiori ai 1.000 metri predominano i querceti con Cerro, molti dei quali sono stati trasformati in castagneti da frutto, coltivati in parte ancora oggi. La posizione del tratto di Appennino riparato dalle Alpi Apuane e dalle miti correnti tirreniche, è esposto ai freddi venti continentali (nel versante emiliano) tali da creare condizioni climatiche molto particolari, vicine a quelle alpine, che si riflettono sulla flora e sulla fauna delle quote più alte (tratto dal portale della provincia di Massa-Carrara).

Al di sopra dei 1.700 metri di quota vegetano la brughiera e la prateria. Dalla brughiera a mirtilli emerge sporadicamente il Sorbo alpino (Sorbus chamaemespilus), alberello poco più alto di un metro, molto raro in Appennino. Sempre in quota, spesso nelle zone più fredde dove la neve rimane per lungo tempo, il pascolo ripetuto nel tempo ha trasformato la brughiera in nardeto, un’interessante prateria bassa composta principalmente dal nardo (Nardus stricta), graminacea poco gradita alle pecore e ben adattabile anche a condizioni estreme. Sugli ambienti di cresta battuti dai venti, si sviluppa un altro tipo di prateria tipicamente montana. Questa volta la specie dominante non è una graminacea ma il piccolo Giunco delle creste (Juncus trifidus), piantina filiforme alta appena una decina di centimetri, proprio per meglio resistere alla forza dei venti.

La flora e, in minor misura, la fauna, comprendono numerosi “relitti glaciali”, specie che hanno colonizzato l’Appennino settentrionale durante le glaciazioni e sono sopravvissute, dopo la scomparsa dei ghiacci, solo nelle località più fredde dell’Appennino, come testimoni isolati del clima passato. Un esempio è la Rana temporaria, anfibio distribuito principalmente nell’arco alpino ed in alcune località appenniniche e presente nei ruscelli che scorrono nelle foreste di Faggio e Abete bianco sopra i 1000 m di quota.
Le aree ancora coltivate e pascolate e gli arbusteti ospitano alcune delle pochissime coppie di Zigolo giallo (Emberiza citrinella) ancora nidificanti in Toscana ed altri uccelli non comuni quali l’Averla piccola (Lanius collurio), il Saltimpalo (Saxicola torquata) e lo Zigolo muciatto (Emberiza cia).
I mirtilli costituiscono un cibo prelibato per Arvicola delle nevi (Chionomys nivalis), giunta nell’Appennino durante l’ultima glaciazione. Tra i piccoli passeriformi si ricordano l’Allodola (Alauda arvensis) e lo Spioncello (Anthus spinoletta); ad essi si associa lo Stiaccino (Saxicola rubetra), specie tipicamente alpina, molto rara in Appennino.
Nei mesi primaverili ed estivi, i passeriformi trovano risorse trofiche, come insetti e semi, nelle le praterie di crinale ad erba bassa.

Tra i rapaci diurni, l’Aquila reale (Aquila chrysaetos), il Gheppio (Falco tinnunculus), la Poiana (Buteo buteo) e, talvolta, il Falco pellegrino (Falco peregrinus). Questi rapaci usano le praterie come territori di caccia, preferendo per la nidificazione luoghi più riparati e a quote più basse. L’Aquila reale, in particolare, è presente con diverse coppie nidificanti.

Tra i mammiferi, le due più comuni specie dì ungulati oggi presenti su tutto l’arco appenninico, anche se in modo discontinuo, sono: Capriolo (Capreolus capreolus, 1758) (Foto) e Cinghiale (Sus scrofa, 1758).
Entrambi hanno avuto una fase di espansione territoriale ed un notevole incremento numerico, dovuto allo spopolamento delle campagne, alla minore utilizzazione delle superfici boschive e alla diminuita concorrenza pabulare da parte del bestiame domestico allevato allo stato brado (Casanova, Capaccioli, Cellini, 1993).
Sui rilievi appenninici si possono segnalare specie autoctone come capriolo e cervo, quasi estinti dal bracconaggio, oggi reintrodotti e numericamente elevati, tali da porre grossi problemi per la rinnovazione naturale delle foreste e per i rimboschimenti. Altre introduzioni, a scopi venatori hanno riguardato specie non autoctone sono il daino, il cinghiale ed il muflone. Le foreste di querce e quelle di faggio sono popolate da cinghiali, caprioli e cervi che frequentano le radure erbose e arbustive per alimentarsi, salendo di quota nei mesi più caldi. Tra le specie più significative presenti è di estremo interesse la presenza del lupo. Lungo la dorsale appenninica occupa solitamente un habitat compreso tra gli 800 e i 1.600 m s.l.m. in cui prevalgono faggete e praterie. Oggi questo mammifero è presente in modo stabile grazie alla protezione ed alla nuova disponibilità di prede, fra cui caprioli, cervi e mufloni. Le praterie di alta quota sono infine l’ambiente favorito dalla marmotta, introdotta alcuni decenni fa ed oggi preda elettiva dell’Aquila reale. (Dal sito della Provincia di Massa Carrara).


Altri mammiferi che valgono la pena di ricordare sono: il gatto selvatico, relativamente frequente nelle formazioni boschive, la Lontra (Lutra lutra), quasi estinta e soppiantata dal castorino (Nutria) e numerose popolazioni di Lepre (Lepus europaeus), Volpe (Vulpes vulpes) e Tasso (Meles meles).
Nella parte nord ovest della regione si trovano le Alpi Apuane: breve catena montuosa paragonata alle Prealpi per il suo aspetto aspro e per le vette elevate.
Nel corso dell’evoluzione geologica si sono verificate molte mutazioni, come sommersioni e riemersioni, che hanno dato un relativa complessità a queste zone. Le condizioni di vita estremamente selettive, i particolari microclimi, le differenze esistenti nel tipo di terreno, l’esposizione dei versanti ai venti marini e, non ultimo, l'intervento dell'uomo, hanno reso gli ambienti delle Apuane assai vari, favorendo lo sviluppo di specie endemiche, presenti cioè soltanto sulle Alpi Apuane, come il Fiordaliso del Borla (Centaurea montis-borlae) e la Globularia delle Apuane (Globularia incanescens).

Le risorse di legname non sono state sfruttate molto nel corso della storia dalle popolazioni locali e proprio per tale motivo in alcune zone la vegetazione è fitta e incontaminata. La flora delle Apuane è rappresentata da boschi di querce, Carpino nero, faggi d'alta quota e secolari Castagni da frutto (che un tempo fornivano agli abitanti delle montagne uno degli alimenti principali del loro sostentamento) e dalle specie tipiche della Macchia Mediterranea.

La particolare varietà di microclimi delle Apuane ha inoltre permesso ad un certo numero di piante di diversificarsi dalle specie originarie. Nei prati di vetta si trovano primule, genziane, crochi mentre più a valle felci, ciclamini, roseti, narcisi, orchidee, gigli ed altri fiori. Al contrario di quanto avviene per la flora, la fauna apuana non sembra presentare caratteristiche tali da conferirle un significato particolare. Più che dalla presenza di specificità locali, o comunque particolarmente rare, l'interesse deriva dalla tipologia delle associazioni animali presenti. Funzione sia della peculiare evoluzione dell'ambiente apuano sia delle caratteristiche attuali dell'habitat naturale.
La fauna si compone, per quanto riguarda i volatili, principalmente da: Rondine montana (Hirundo rupestris), Picchio rosso minore (Picoides minor), Picchio muraiolo (Tichodroma muraria), Gheppio (falco tinnunculus), Falco pellegrino (Falco peregrinus), Gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus), Gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax) e Aquila reale (Aquila Chrysaetos).

Ricca la presenza di specie anfibie, tra le quali: la Salamandrina dagli occhiali, il Tritone alpestre apuano, la Salamandra pezzata, il Geotritone italico. Tra i mammiferi troviamo: lo scoiattolo, la martora, la donnola, la faina, la lontra, la puzzola, la volpe, il ghiro, il capriolo e il cervo.